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venerdì 24 agosto 2012

Ex Manicomio di G.



I corridoi del parco, i viali della residenza crepata della ‘casa dei matti numero 0’, sono ingombri di visitatori e di serenità.
La natura sembra di plastica tanto è angosciata dal nascere in un suolo arido e scricchiolante come quello del manicomio del nord.
Oltre ad un fossato, non si sa mai che la follia e i suoi folli potessero mai entrare nel mondo, le fronde severe degli alberi verticali celano 21 stabili in decadenza. Dieci ettari occupati da strutture, viali e campi ormai abbandonati dal 1997 così come i restanti dieci ettari dedicati alle colonie agricole. I padiglioni sono disposti a raggiera: a destra i reparti maschili a sinistra i femminili.  Camminiamo facendo succedere passi nervosi in modo circolare: il delirante girotondo nell’edera secca e nei tronchi sfasciati accompagna la nostra danza macabra nel primo padiglione: la fossa dei serpenti. Dicono che qui vivevano quelli che l’istituzione aveva bollato come negletti. 
Regna un’aria greve e autunnale nel grigio silenzio dello stabile dove alcuni lettini di ferro vivono nel costipato di una stanza sporca, inusuali leggii di alcune anonime lastre toraciche.
In una stanza dai contorni bui e dalla centrale fievole luce di un sole pallido e solitario, si trovano pesanti scaffali colmi di registri e fotografie: un patrimonio umano perduto per la seconda volta.

Al piano superiore la gravità non ha più nessun valore, non esiste stabilità né precarietà, né compagnia né solitudine, né memoria né oblio. Ogni oggetto è come incollato in una secolare posizione dove tutto è installazione del tempo. Ogni residuo umano non ha funzione né scopo: esiste perché obbligato a esistere in un luogo dal passato aberrante, esattamente come i pazienti di un manicomio.

Non c’è altro da respirare occorre continuare.
Visitiamo uno stabile dove un’installazione ci coglie di sorpresa: indumenti impiccati al nodo dell’aria proclamano il ricordo, ancora ricordo, ancora storia svanita.
Svaniti come i nomi di molti pazienti ridotti a soli numeri.
Al centro del parco abbiamo trovato la chiesa, totalmente vandalizzata, gli alloggi delle suore, le vaste cucine con i grandi cuoci pasta, la lavanderia e l’incolto campo da calcio.
Ma non è finita c’è anche lo stabile del reparto malattie infettive, disinfezione e necroscopia, e la camera oscura: il piccolo e angusto padiglione dove era praticato il terribile elettroschock.
Una volta chiusa la porta di una cella di contenzione regna soltanto l’isolamento: non è possibile sentire nessun suono, neanche il proprio. La pesantezza delle pareti è tale che l’umano è solo, solo un piccolo punto materiale perso in un mare di fluido polveroso e triste.

All’improvviso scoppia come un detonatore nel cuore quando la vista è velata da un panno fibra color seppia: a fine anni Settanta nel salone delle feste qualcosa accadde. Lo dicono i giochi riversi a terra, i vestiti negli armadi e i cartelloni alle pareti. Ma attenzione, non è bastata la seconda guerra mondiale, le storie oscure, le leggende e l’incuria per far precipitare di nuovo lo spirito del manicomio del nord nel dramma: basta affacciarsi da una finestra del salone delle feste per vedere la porta dell’obitorio.

Elvira Macchiavelli




Elvira Macchiavelli

1 commento:

  1. Ciao Elvira! Complimenti per il tuo blog, anch'io sono amante delle esplorazioni nei luoghi abbandonati. Fra l'altro abito vicino a Granzette ma non ho ancora avuto modo di visitarlo.

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