-E dai, Maremma!
Lella (la navigatrice) si è di nuovo spenta!-
Possiamo dirlo? E’ proprio da in-convenienti come questi che
l’unico navigatore dell’auto diventa la fortuna.
Mettiamo da parte Lella che ormai non ce la fa più e
seguiamo le rotaie del piccolo paese toscano arrivando al cospetto del grande
molino abbandonato.
Dobbiamo fare presto, magari riusciamo a salire sul tetto
dell’industria abbandonata per vedere il tramonto: è risaputo che l’esploratore
urbano è un inguaribile romantico.
Libera dal cavalletto, vista la complessità della situazione
‘accesso’ per una scoordinata climber
come la sottoscritta, entriamo nel popolato molino abbandonato con una strana
emozione interiore.
Ci sarà qualcuno o no? La grande struttura è stata una delle
più famose industrie del 1910 poi fallita in tempi recenti. La società è poi
stata coinvolta in un marasma giudiziario mai risolto, e adesso, si propongono e avvallano molti progetti
nelle amministrazioni per scegliere le sorti di questo colosso industriale.
Una volta entrati nel cortile notiamo delle tracce di
pneumatici impressi nella terra fresca.
Una leggera ansia è animata anche dagli ossei suoni
metallici prodotti dai piccioni che, appena ci vedono nel cortile, cominciano a
svolazzare allarmati in ogni dove.
Riusciamo a trovare una porta aperta nella prima torre, la
più piccola e magari la più velocemente visitabile.
Intorno a noi, i locali dalla pianta quadrata si sviluppano
verso l’alto con regolarità. Come in ogni molino, anche questo presenta la
tipica caratteristica della specializzazione: ogni piano è dedito a qualche
antica mansione.
Attenti a non cadere nel grande buco centrale che si
presenta all’entrata di ogni stanza, dopo aver salito le sporche scale,
cominciamo ad esplorare frettolosamente questa porzione di molino. I piccioni
hanno defecato ovunque e ovunque regnano colonie indisturbate di batteri e
pennuti. Il pavimento è rivestito di guano e di detriti ma tutto intorno a noi
merita di essere scoperto. In molte stanze i macchinari sono ancora presenti,
come le tabelle e i registri di lavoro.
Pendente ad un macchinario lo strano ritrovamento del
crocifisso di legno, ormai deteriorato dal tempo e dalle ragnatele. Dunque Cristo si è fermato al molino, non c’è
nessuna religione in questo luogo disabitato (ed oserei dire anche nel nostro
Pianeta…) eccetto quella del tempo e del lento deteriorarsi delle cose.
Fotografare si fa sempre più complesso mentre la luce va
affievolendosi tramutando l’adrenalinica esplorazione in un’agonistica visita a
tempo.
Non c’è lo spazio per potersi dedicare ai particolari dei
quadri di comando, non ci sono le condizioni per poter scattare con
tranquillità e meditazione.
Con questa
esplorazione sono tornata allo stato primordiale dedicato al puro piacere
documentaristico, senza tre piedi, dell’esploratore urbano.
Un ritorno alle origini in un luogo non casuale ma
inconsciamente ambito da molti anni. Forse, se avessi visitato il molino quando
lo volevo davvero non avrei mai potuto godere dell’ancestrale tramonto di
questa sera invernale.
Il cielo, seppur ancora chiaro ed ammorbidito dai colori
pastello delle nuvole e delle montagne, non
riesce a riscaldare le stanze del molino che immediatamente cadono in una
torbida atmosfera sonnolente. Sotto, dopo decine di metri si trova il piccolo
paese Toscano, vicino a noi altre due torri da esplorare ma ormai c’è ben poco
da fare ‘Time is over’ comunica lo schermo della Nikon -soggetto troppo scuro-.
Elvira Macchiavelli
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