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giovedì 23 marzo 2017

Villa Magnolia

Un sottile raggio di luce si insinua debolmente nel salone della villa, quasi a volersi manifestare come una timorosa guida.  Timorosa di cosa?
La luce è sempre una guida, ma in questa villa diventa fredda e artificiale. La polvere è una corpuscolare pellicola posata sui vetri delle finestre: sottili lamine opache che sembrano ostacolare con forza l’entrata della calda luce nelle stanze.  Ostacola? Chi ostacola?
Lei è l’ostacolo: lei…la casa.
Una dimora lussuosa, mai stucchevole, ambienti sobri, mai minimali.
Un volto di donna, impresso su tela, ci accoglie radioso quando entriamo nell’ampio salone dal pavimento in legno.
Ci guarda attraverso uno sguardo immortale, che non conosce dolore né solitudine. E come poteva sentirsi sola con un marito affettuoso, due figli (G., quella G., impressa su gran parte dei mobili della casa), un cane e molti amici.  Le fotografie ritraggono la famiglia riunita in giardino negli anni Settanta,  sempre nella stessa posa nelle due fotografie in cui la differenza risiede solo nei cambiamenti dovuti all’età.
Non cambia l’entusiasmo dei loro occhi che adesso si trova nello sguardo rassicurante di lei, e silente si trasmette ad ogni angolo della casa, in ogni anfratto, in ogni cassetto dell’armadio dove magari un bambino ha nascosto un piccolo tesoro.
Impossibile non fantasticare su (im)probabili e curiosi ritrovamenti, impossibile non leggere i titoli dei libri umidi riposti accuratamente nei mobili sotto le finestre.
Titoli francesi, ecclesiastici e storici: attraverso un titolo si può conoscere una storia, o almeno sapere di cosa tratta. Nel caso in cui il libro sia la villa abbandonata (la copertina la sua facciata e le pagine il suo contenuto), nessun titolo potrebbe mai riassumere l’atmosfera di questo posto.
Un posto nuovo, apparentemente ben tenuto, con ancora tutti i documenti in fila negli schedari, i bicchieri sui tavoli, i quadri appesi alle pareti celestine e la collezione di conchiglie sullo scaffale della libreria.
Le scale di marmo sono vestite con l’archetipo del prestigio per eccellenza: il tappeto rosso.
Il piano superiore ha i soffitti alti e a volta tempestati da inquietanti visi di muffa.
Ci sentiamo soltanto pedine non autorizzate che seguono i dettami di un gioco primordiale camminando per una scacchiera diagonale. Casella nera, casella bianca, casella nera, casella bianca. Giriamo a destra; ogni stanza è un tripudio di ricordi,altrui.
Sui comodini ci sono ancora i libri e i rosari, nei cassetti gli album del matrimonio di famiglia, vestiti negli armadi, volti corrosi nelle teche dei quadri.
Ogni stanza è buia, ma non abbastanza per la luce della curiosità.
Ultimo piano e ancora ogni spazio è un regolare prolungamento, dei ricordi. Scattiamo in fretta, tanta è l’impressione di violare ‘la questione privata’ della famiglia.
                                                                  Elvira Macchiavelli

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