Ammetto che spesso mi trovo in difficoltà a narrare la storia di determinati luoghi. Tuttavia il motto ‘perché nulla venga perduto’ mi rianima subito e motiva ad andare avanti…seppur con qualche accorgimento.
Villa Musa, così ho
deciso di ribattezzare in via personale questo luogo magico. Edificata nel XVI secolo è stata a lungo dimora di feste e
cerimonie presiedute dai Cardinali della casa ducale del paese.
Verso la fine del XVI secolo e
gli inizi del XVII un nobile genovese costruisce su un colle una dimora
esclusiva, adibita a svago e a banchetti. L’ampio parco con i suoi viali, ora
boschi incolti, i portici maestosi ora perduti, impressionarono persino il
principe Carlo I Cybo-Malaspina che nel 1637 acquistò la residenza.
L’architetto di questa singolare e affascinante struttura, che si manterrà fino
al XIX secolo è Alessandro B. Lo sfarzo manifestato e i debiti sempre più
incombenti fanno precipitare la villa e la casata dei Malaspina in un periodo
buio tanto da cercare di vendere lo stato alla corona inglese. Nel 1721 per
rimediare ai troppi debiti, gran parte delle statue che ornavano il loggiato
sono state vendute al Vaticano e in parte ad emissari dello zar di Russia. Dopo
questo sfacelo la villa venne abbandonata e sfruttata solo per le sue colture
arboree e come casa di ‘campagna’. Dopo questa data la Villa è stata occupata
dal colonnello inglese W. per sei anni con la clausola di restaurare gran parte
della villa. I proprietari si susseguono velocemente: da un architetto ducale
al conte M., nel
1797 vengono costruite le stalle, la rimessa per le carrozze e gli alloggi per
i contadini. La volta del restauro è datata 1828 mentre la Villa viene
definitivamente affidata alla nobildonna G.T. nel 1844. Le informazioni
reperibili su questo luogo si interrompono agli anni Sessanta, quando alcune
stanze della Villa furono affittate ad uno sculture e ad un pittore.
Non mi
sorprende che ad oggi la Villa sia dominata dall’incuria: una ricevuta del ‘54
segnala che i proprietari spesero 40.000 Lire solo di alberi e fiori per
adornare il parco. Inoltre dal ’53 ad anno ancora da definire la dimora
signorile è stata adibita, pare, a pensione-albergo.
Considero questo luogo un nuovo mondo palpitante di empatia e ricco di sapere la cui chiave di accesso è dispersa nei labirintici giardini, tra
i gradini nascosti, e nelle lettere sigillate con cera lacca vermiglia.
Elvira Macchiavelli
Bella! Ma dov'è di preciso? Poi ho notato che metti solo le iniziali...dopo tanti anni (secoli, in alcuni casi) penso che i nomi delle famiglie originarie si possano scrivere. Ciao, Arianna
RispondiEliminaCiao Arianna scusa se ti rispondo solo adesso. Non scrivo il nome delle location perchè purtroppo non vanno solo fotografi o appassionati in questi luoghi, ma anche vandali o persone che non hanno il solito rispetto o interesse per questi mondi in decadenza. Il motivo è questo. E' una tutela di un patrimonio che già sta andando perduto.
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