Quelli che
definisco ‘morbi in quarantena’ sono sempre più sul suolo italiano.
Entrata dal
cancello blu come se l’industria P. fosse appena stata chiusa, mi accorsi
subito che c’era qualcosa che non andava in quello scenario inquietante,
grigio, desolato. Non un piccione, non un animale o un insetto a fare
compagnia a noi esploratori, solo il
clic delle nostre macchine digitali.
Capannoni
in disuso pieni di materiale di scarto: plastica, spazzatura, vetro e…non so
che altro. Sul retro un alto impianto con condotti arrugginiti e silos mangiati
dal tempo.
Ogni tanto
il vento alzava odori ‘nuovi’ nel senso di strani alle mie narici protette (per
quanto?) da una mascherina con il filtro giallo. Seppi cosa accadeva in questo
ex complesso industriale solo al mio ritorno a casa…
Ci troviamo
di fronte ad uno scandalo, ad una truffa, ad un disastro compiuto dalla società
Enirisorse. Nella seconda metà degli anni
Novanta, la società prova l’impellente bisogno di smaltire centomila metri cubi
di batterie per auto, il quale smaltimento legale costerebbe 60 miliardi di
lire. Il territorio della provincia di Grosseto è particolarmente favorevole
per ‘lo smaltimento’ in quanto coperto da un passato minerario florido con
adeguati sistemi di smaltimento e personale amministrativo compiacente. Inoltre
il territorio permette di nascondere il
danno ambientale causato dal piombo delle batterie poiché già profondamente
inquinato dai residui di lavorazione della pirite di Scarlino, per esempio. Il luogo per innescare una nuova bomba
ecologica si individua in un sito minerario già profondamente inquinato da rame,
zinco e piombo. L’operazione, avviata da finanziamenti pubblici a fondo perduto,
permette di allestire un bel teatrino di copertura per lo stoccaggio del
materiale che viene per giunta considerato RECUPERABILE (per fortuna qui
interverrà la procura di Monza a dimostrare che il mix di ebanite è tossico).
Nonostante questo l’industria P. si spaccerà come industria per lo smaltimento
di materie plastiche anziché come industria per lo smaltimento di batterie al
piombo e verrà giudicata in regola e all’avanguardia anche se in realtà…non lo
era.
Poi il
dramma, la Piombemia viene diagnosticata agli operai che lavoravano nel sito di
smaltimento. Gli accertamenti sanitari parlano di altissimi valori del piombo
nel sangue e questo fatto ha portato ad un risarcimento economico ai
danneggiati ma all’archiviazione del caso da parte del GIP del tribunale di
Grosseto.
Dal 2006
nulla è cambiato: non ci sono più gli uomini a lavoro ma una quantità di
malaria che sarò felice di mostrarvi.
Elvira Macchiavelli
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